La MANIFESTAZIONE DEI PRECARI del 30 MARZO a ROMA: 40.000 in corteo a roma

Nazionale -

alcuni articoli sulla manifestazione del 30 marzo

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31 marzo 2007 - Il Manifesto

Pubblico impiego fermo ieri per un'agitazione indetta dalle RdB: 40.000 in corteo a RomaUno sciopero riuscito al Cubdi Francesco Piccioni

Roma Quando c'è gente disposta a mettersi in viaggio dalla Sardegna o da Torino, da Reggio Calabria o da Milano, da Bologna come da Napoli o dalla Toscana, per arrivare fino a Roma e mettersi a scarpinare dopo una notte di viaggio... beh, vuol dire che c'è un problema molto sentito e si confida anche nella possibilità di risolverlo con la mobilitazione. E' la tradizione del movimento dei lavoratori.
Ieri mattina l'hanno rinverdita i dipendenti pubblici chiamati allo sciopero dalle Rappresentanze di Base (Rdb-Cub), con un corteo - partito da piazza della Repubblica - che ha raggiunto il ministero della funzione pubblica, in Corso Vittorio. Un fiume di gente e di bandiere, che gli organizzatori hanno quantificato in 40.000 e la questura, stavolta, non sembra aver contraddetto. In testa i vigili del fuoco - tanti, in divisa, «ben piazzati» - comparto fondatore di questo sindacato di base, sicuramente la faccia del pubblico impiego che nessuno si sognerebbe di criticare. L'arrivo dei treni ritarda l'avvio della marcia, con i toscani in pullman bloccati a Saxa Rubra (alle porte della città). Si srotolano gli striscioni, contro la precarietà, la legge 30, il «precariato di stato». Illuminante quello delle educatrici della Farmacap (60, tutte precarie): «La stabilità del paese è fondata sul lavoro, ma se il lavoro non è stabile?».
I dati sulle adesioni tardano ad arrivare, anche perché la quasi totalità dei delegati è a Roma per il corteo. Dalle sedi periferiche giungono però notizie di uffici completamente chiusi, con qualche protesta di utenti non informati (ah, la stampa...) dello sciopero.
Al contrario del corteo del 6 ottobre, dove i precari del pubblico impiego erano massa compatta, ieri si son visti di meno. Pesano i «ricatti» sul lavoro, e anche un po' di confusione su cosa farà il governo in tema di «stabilizzazione». Finora le promesse si sono sprecate, nei fatti non è cambiato nulla.
Il nodo, del resto, è tutto politico. Un po' perché lo stato è anche il «datore di lavoro», un po' perché questa categoria è quella che più compattamente ha sostenuto il centrosinistra. Al centro c'è quello che le RdB chiamano il «progetto di smantellamento» della pubblica amministrazione. Nell'incontro di due giorni fa il governo ha presentato solo i «capitoli generali» del suo disegno di «riorganizzazione». L'unico ministero che abbia presentato un piano dettagliato è, non a caso, quello dell'economia, destinato a fare da apripista. E qui si parla chiaramente di «chiusura di sedi», istituzione di «sedi regionali o interregionali», mentre sembra non ci sia una riga sui servizi da erogare e la loro qualità. Né sulla ricollocazione del personale che dovesse risultare localmente in eccesso. Il tutto per contenere la spesa di appena 7 milioni di euro! Inevitabile, spiegano, un «aumento della conflittualità» in ogni sede periferica, con relativo aumento della conflittualità con l'utenza. Anche perché il «raggiungimento dei risultati» (il «dimagrimento») diventa un vincolo per i singoli enti: se non li raggiungono non possono stabilizzare precari né procedere ai passaggi di livello.


31 marzo 2007 - Liberazione

Sciopero delle RdB Cub e grande corteo a Roma. Per il contratto e per dire basta alla precarietà
Pubblici, il grido dei 40mila: «Il governo ci ascolti»
di Manuele Bonaccorsi

Albert, 29 anni, vigile del fuoco, non lavora più di 160 giorni l'anno. Come lui sono costretti ad "arrangiarsi" con altri impieghi, spesso in nero, altri 15mila pompieri precari. Vestito come se fosse appena tornato da una missione, regge lo striscione del suo spezzone: "più precari = meno sicurezza". Il corteo delle Rdb Cub - 40 mila persone in piazza a Roma nel giorno dello sciopero nazionale del pubblico impiego - sfila, rosso e rumoroso, per via Cavour e racconta storie di ordinaria precarietà, di un lavoro sfruttato e offeso.
Sfila Annalisa, 44 anni, precaria di una società mista della Campania che rischia di perdere, con l'obbligo della gara, l'assegnazione del servizio; sfilano i sardi, tutti col caratteristico berrittas sul capo, che cantano uno slogan fin troppo chiaro: "a sinistra/ come a destra/ precari si era/ precari si resta». E ancora gli informatici del ministero di Grazia Giustizia: cocoprò per contratto, dipendenti per mestiere; e poi un'autoambulanza, preceduta da un "precario in barella", giunta direttamente da Avezzano. Alla guida, ovviamente, un lavoratore a tempo determinato.
Ma non ci sono solo precari nella riuscita manifestazione delle Rdb Cub, il più grande sindacato autonomo, con oltre 700 mila iscritti. Ci sono anche i lavoratori a tempo indeterminato, che chiedono un nuovo contratto e lamentano carenze di materiali e strumenti. Accade, ad esempio, nel dicastero di Mastella e al ministero del Lavoro dove, dice Lucilla, 43 anni, «dobbiamo comprarci evidenziatori e carta igenica coi nostri soldi». «Per la prima volta sono insieme i lavoratori "normali" e i precari, i cui interessi sembrano contrapposti. Per noi la battaglia per il rinnovo del contratto non è diversa da quella per la stabilizzazione e per una pubblica amministrazione di qualità», spiega Urbano Fascetti, del direttivo nazionale del sindacato, che cammina con la sua bandiera rossa accanto al camion che apre il corteo.
Quattro treni speciali, 6 pullman da Bari, 8 dalla Calabria: «Chi è venuto qui vale doppio, perchè non solo ha rinunciato alla giornata di lavoro, ma ha anche pagato di tasca propria il viaggio. Il nostro sindacato non ha certo le risorse dei confederali», aggiunge Fascetti. E che Cgil Cisl e Uil, tra i 40mila di ieri, non godano di molta fiducia è possibile notarlo dalla contestazione con cui i precari della ricerca, al grido "Buffoni, buffoni", ha interrotto un convegno indetto dalla Flc Cgil sul "ruolo dell'università per la crescita del sistema paese". Il corteo giunge davanti al ministero della Funzione Pubblica intorno all'una. Qui i vigili del fuoco accendono i loro fumogeni, mentre davanti all'ingresso viene messo un pupazzo di cartapesta raffigurante un Prodi-Frankenstein con la gamba rotta e un sacchetto di denaro in mano, con il commento "Tfr= Ti Frego i Risparmi".
Rita, 47 anni, porta un piccolo lenzuolo insieme ai suoi colleghi, gli Lsu del comune di Cervaro, provincia di Frosinone: «Siamo in 38, contro 40 impiegati "regolari"; dopo 10 anni ancora aspettiamo l'assunzione, anche se senza di noi gli uffici si fermerebbero». Poi ci sono gli operai del ministero della Difesa, precari da vent'anni: da quando, cioè, hanno iniziato a lavorare a giornata, per aggiustare le piste degli aeroporti militari. Molti di loro non sono più giovanissimi. Come Francesco Colacicco, 58 anni, che lavora nell'aeroporto della III Regione Aerea di Bari. Anche lui, per arrivare a fine mese, è costretto a lavorare in nero. «I soldi per gli aerei militari ci sono, per noi no», dice. E spiega che, nonostante l'anzianità, «per il governo non possiamo aspirare all'assunzione: non raggiungiamo neppure il requisito minimo di 3 anni di impiego negli ultimi 5». Poco dietro c'è Lorenzo, 45 anni e due figli, un Lsu che il suo comune (Agira, provincia di Enna) ha deciso di impiegare come conducente degli autobus comunali. «Il sindaco- spiega - dice di non avere i soldi per assumerci, quindi ci lascia a lavorare col sussidio dell'Inps».
Il comizio si apre con l'intervento di Pierpaolo Leonardi, coordinatore nazionale del sindacato: «Il governo prenda atto del profondo malcontento del Pubblico Impiego. Lo sciopero dimostra come i lavoratori siano contro lo smantellamento della pubblica amministrazione prodotto dal memorandum, e contro le chiacchiere sul precariato», accusa Leonardi, poco prima di recarsi all'incontro di Palazzo Chigi. Le Rdb Cub chiedono di essere ammesse ai tavoli di trattativa tra governo e parti sociali, pur mantenendo il loro carattere di sindacato non concertativo che ha rifiutato di firmare gli accordi del luglio del '93. Che ne abbiano diritto, d'altronde, lo prevede la Legge Bassanini sui "sindacati maggiormente rappresentativi". Alla fine dell'incontro con i sottosegretari Letta e Nicolai, le Rdb Cub strappano la promessa di una convocazione prima di Pasqua.


31 marzo 2007 - L'Unità

PROTESTA. In piazza a Roma i sindacati di base dei lavoratori del pubblico impiego

Ieri a Roma sono scesi in piazza a migliaia per lo sciopero convocato dal sindacato Rdb Cub: sono i lavoratori pubblici, quelli dell’università, i ricercatori, quelli della pubblica amministrazione, ma anche quelli dei lavori socialmente utili, del 118, di Farmacap e tanti vigili del fuoco anche in divisa. In 40mila, secondo gli organizzatori, hanno manifestato da piazza della Repubblica fino alla sede del ministero della Funzione pubblica guidato da Luigi Nicolai. Salario inadeguato, mobilità selvaggia, dignità dei lavoratori, sicurezza e diritti, aumento dei salari: sono alcune delle richieste avanzate dai lavoratori che annunciano una stagione di lotta contro lo smantellamento della pubblica amministrazione, contro i tagli e la mobilità incerta. Nel pomeriggio una delegazioni Rdb Cub ha incontrato a palazzo Chigi il ministro Nicolai e il sottosegretario Letta.

Se la delusione diventa allarme
di Bruno Ugolini

Parole dure come pietre quelle pronunciate ieri da Guglielmo Epifani. Anche se inserite in un discorso pacato, tutto teso a descrivere le difficoltà oggettive in cui si trova il governo di centrosinistra. Un giorno alle prese con l'Afghanistan, l'altro con la Santa Madre Chiesa che legifera per conto proprio sui destini della coppia italiana. Coppia magari costretta a fragili convivenze, a causa di fragili rapporti di lavoro. Fatto sta che un tale accavallarsi di problemi e di scadenze turba e pregiudica anche i rapporti con i sindacati.
Alle volte sembrano mandare in tilt quella "concertazione" che doveva essere il fiore all'occhiello dei nuovi abitanti di Palazzo Chigi. E così ieri i titoli delle agenzie di stampa erano dedicati al segretario della Cgil che amaramente racconta di un governo fragile perché incapace di programmare, costretto a lavorare giorno per giorno, senza priorità, senza bussola. Uno sfogo più che una requisitoria, un appello a darsi una mossa, a non ripetere l'andamento che ha caratterizzato il brutto dibattito nel Paese, attorno ai contenuti, via via modificati della legge Finanziaria. Sono osservazioni che del resto chiunque frequenti gli ambienti del mondo del lavoro, sente ripetere con insistenza. Basta ascoltare le voci dei pensionati che vorrebbero un meccanismo di tutela delle pensioni dimagrite. Oppure prendere atto delle denunce dei lavoratori del pubblico impiego alle prese con un contratto che non si rinnova e con un ministro, Tommaso Padoa Schioppa che sopprime 80 uffici e ne duplica altri. Mentre per le vie di Roma organizzazioni corporative, sotto il nome di rappresentanze di base, riprendono fiato e organizzano la protesta.
Il sindacato considerato "amico" dovrebbe tacere e lasciar correre, per non fare il gioco del centrodestra? Non farebbe il suo mestiere, non gioverebbe agli stessi destini del centrosinistra, per non parlare delle sorti del Paese. Il quale non trasuda di entusiasmo. Le cifre sui salari dell'Eurispes accrescono il malessere del mondo del lavoro. Sapere che la crescita media delle buste paga sono state in Italia dell'oltre il 4 per cento in meno rispetto all'Europa, non può rincuorare gli animi. Eppure, di fronte a questo stato di cose, si intende varare una misura, quella sull'Ici, dalle caratteristiche prettamente elettoralistiche. Una misura che non fa distinzioni di reddito, cade "a pioggia". Non premia quelli che magari non posseggono alcuna casa e che sono rimasti beffati dalle mancate detrazioni annunciate per le paghe di gennaio. E che giustamente aspira a precisi vantaggi fiscali.
Le denunce, le delusioni, nascono da queste riflessioni. E richiamano (come ha fatto Epifani) quel fantomatico "tesoretto" strattonato da tutte le parti. Doveva essere la "dote", la risorsa messa a disposizione di una politica finalmente equa, atta ad agevolare la maxi-trattativa con le parti sociali. Invece appare già ridimensionato, consumato. Eppure non c'è nello sfogo di Epifani (ma anche di altri esponenti del mondo sindacale) la pretesa di una svolta messianica. Sanno bene che la strada del "tutto e subito" è impraticabile. In quelle dure parole, c'è innanzitutto, una voglia di certezze, di proposte non labili. Sanno che è una corsa ad ostacoli. Ma per non essere disarcionati occorre una guida sicura, un traguardo certo, un percorso tracciato.