dalla dpl di modena un'interessante ricognizione sulla giurisprudenza in materia di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

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Min.Lavoro: indirizzi giurisprudenziali circa la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

 Il nuovo art. 7 della legge n. 604/1966, come modificato dall’art. 1, comma 40, della legge n. 92/2012, ha previsto, nelle imprese dimensionate sopra le 15 unità (ed in quelle del settore agricolo con oltre i 5 dipendenti) – v. art. 1, comma 42 per le modalità di calcolo dei limiti numerici -, un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la commissione provinciale istituita in ogni DTL, attivabile attraverso una procedura che inizia con una comunicazione inviata all’organo periferico del Dicastero del Lavoro, e per conoscenza, all’interessato, con la quale il datore di lavoro comunica la propria intenzione di procedere al recesso, indicando sia le motivazioni che le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione.

Ritenendo di fare cosa utile si segnalano indirizzi giurisprudenziali circa la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento dell’azienda (art. 3, seconda parte, della legge n. 604/1966), fermo restando che l’area di applicazione dei licenziamenti plurimi per giustificato motivo oggettivo riguarda quelle fattispecie che non rientrano nel campo di applicazione della legge n. 223/1991 (almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni).

Con sentenza n. 11465 del 9 luglio 2012, la Cassazione ha affermato che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva è scelta riservata all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità. La suprema Corte rammenta la nozione di giustificato motivo oggettivo nel licenziamento: "deve ricondursi anche l’ipotesi del riassetto organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa, deciso dall’imprenditore non semplicemente per un incremento di profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, tanto da imporre una effettiva necessità di riduzione dei costi".

Con sentenze n. 22464/2004, n. 28/2004 e n. 13021/2001 la Cassazione ha affermato che il motivo oggettivo di recesso, determinato da ragioni concernenti l’attività produttiva, tra le quali rientra anche l’assetto organizzativo più economico sotto l’aspetto gestionale, è rimesso alla valutazione datoriale, senza che il giudice ne possa sindacare la scelta. Al giudice spetta il controllo della reale sussistenza delle motivazioni addotte dal datore di lavoro.

Con sentenze n. 17887/2007 e n. 8237/2010 la Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento in presenza di un effettivo riassetto organizzativo fondato su esigenze effettivamente esistenti e non legate a circostanze future ed eventuali.

Con sentenze n. 11312/1990, n. 4688/2001 e n. 10461/1990 la Cassazione ha affermato che in caso di ristrutturazione aziendale con necessità di dover procedere alla soppressione del posto o del reparto, il licenziamento si ritiene legittimo nel caso in cui si dimostri la concreta riferibilità del licenziamento individuale alle effettive ragioni di carattere produttivo ed organizzativo.

Con sentenze n. 16579/2010 e n. 7717/2003 la Cassazione ha affermato la legittimità del licenziamento determinato anche dalla impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti nell’ambito dell’organizzazione aziendale e non solo nella sede presso la quale il lavoratore era impiegato: la ricerca può estendersi anche al “gruppo d’imprese”, se le stesse diano vita ad un unico centro di imputazione dei rapporti giuridici.

Con sentenza n. 5777/2003 la Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento anche in caso di decentramento produttivo, comportante l’affidamento a soggetti esterni o di parte del ciclo produttivo, finalizzato ad una più economica gestione dell’impresa (terziarizzazione o “outsourcing”).

Con sentenza n. 4050/1982 la Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento con soppressione del posto per documentata antieconomicità dello stesso.

Con sentenza n. 14065/1999 la Cassazione ha ritenuto che la sopravvenuta infermità permanente, anche parziale, del lavoratore a svolgere le mansioni affidategli, può costituire giustificato motivo oggettivo di licenziamento, per impossibilità sopravvenuta a condizione che:

a) L’inidoneità sia stata accertata con precisione e che la prognosi non riesca a determinarne la durata (Cass. n. 9067/2003). Il datore può recedere anche prima del superamento del periodo di comporto per malattia, per impossibilità della prestazione dovuta a malattia fisica, ove possa dimostrare la mancanza di interesse alla prosecuzione (Cass., n. 4012/1998; Cass., n. 3517/1992);

b) A fronte di una inidoneità parziale il datore dimostri che non è interesse dell’impresa di usufruire delle prestazioni ridotte (Cass. n. 5713/1993);

c) Il dipendente non possa essere adibito a mansioni equivalenti o inferiori compatibili con lo stato fisico (Cass. S.U. n. 7755/1988; Cass. n. 9700/2010), ferme restando le scelte organizzative (Cass. n. 4827/2005. Una eventuale “dequalificazione”, intesa quale unico mezzo per salvaguardare il posto di lavoro, è ammissibile pur in presenza del comma 2 dell’art. 2103 c.c., in quanto si tratta, in sostanza, di un nuovo contratto stipulato con il consenso dell’interessato ed adeguato alla nuova situazione fisica di fatto;

d) Sia stato superato il periodo di comporto, ferma restando l’ipotesi del recesso ex art. 2110 c.c. (Cass. S.U., n. 2072, n. 2073 e n. 2074/1980), allorquando l’impossibilità della prestazione integri gli estremi del g.m.o. (Cass. n. 1998/1998; Cass. n. 5416/1997)

Con sentenze n. 9239/1999 e n. 266/1995 La Cassazione ha affermato che la carcerazione preventiva per fatti estranei al rapporto di lavoro integra un fatto oggettivo che determina una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione: la valutazione della persistenza del rapporto è rimessa alla valutazione del datore con riferimento alle oggettive esigenze dell’impresa, alla luce dell’organizzazione della stessa e delle mansioni del detenuto. Se il dipendente è detenuto in attesa di un provvedimento definitivo di condanna è possibile il recesso se manca un interesse alle future prestazioni (Cass., n. 2267/2009; Cass., n. 22536/2008). In caso di assoluzione, proscioglimento, non luogo a procedere o provvedimento di archiviazione con cui viene accertata l’ingiusta carcerazione, il dipendente ha diritto alla reintegra ma non alle retribuzioni per il periodo intercorrente tra il licenziamento e la stessa reintegra (Cass., n. 5499/2000). Ai fini di quest’ultima occorre ricordare come il provvedimento sia stato determinato esclusivamente dallo stadio di custodia cautelare (Cass., n. 24366/2010).

 

Altre ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento, sono state individuate dalla giurisprudenza in stretta correlazione con provvedimenti dell’autorità amministrativa:

a) Cessazione dell’efficacia della patente di guida estera (Cass., n. 12719/1998);

b) Ritiro del tesserino che consente l’accesso alla zona doganale per il lavoratore aeroportuale a seguito di denuncia per ricettazione: il datore di lavoro può recedere dal rapporto fornendo la prova della sussistenza delle ragioni tecnico – produttive e l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni identiche od equivalenti fuori dalla zona doganale (Cass. n. 2267/1999; Cass. n. 7638/1996; Cass., n. 7726/2005);

c) Ritiro del porto d’armi o sospensione, a tempo indeterminato, disposta dall’Autorità di Pubblica Sicurezza nei confronti di una guardia particolare giurata (Cass., n. 2727/1989; n. 16924/2006).

 

Art. 7.

  1. Ferma l'applicabilita', per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all'articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore. 2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonche' le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. 3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l'incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile. 4. La comunicazione contenente l'invito si considera validamente effettuata quando e' recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero e' consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta. 5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro. 6. La procedura di cui al presente articolo, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro, fatta salva l'ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro puo' comunicare il licenziamento al lavoratore. 7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l'impiego (ASpI) e puo' essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l'affidamento del lavoratore ad un'agenzia di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), c) ed e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. 8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, e' valutato dal giudice per la determinazione dell'indennita' risarcitoria di cui all'articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile. 9. In caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all'incontro di cui al comma 3, la procedura puo' essere sospesa per un massimo di quindici giorni.